Dies Irae (XII secolo)
L'angelo dell'apocalisse suona la prima tromba
Il Dies irae è certamente
uno dei componimenti più noti di tutta la poesia mediolatina. Si
tratta di una sequenza,
ossia di un testo poetico-musicale di carattere liturgico utilizzato
nelle celebrazioni della messa. L’autore del Dies irae, tradizionalmente identificato con il frate francescano Tommaso da Celano
(1190-1265 circa), è dubbio ed oggi fortemente discusso.
Ancor
oggi l’inno è cantato – soprattutto nella cosiddetta Messa tridentina in uso fino al
Concilio Vaticano II – nell’ufficio dei defunti; in origine però
esso veniva cantato, come tutte le sequenze, prima della lettura dei
Vangelo, e
precisamente precedeva la lettura di Luca 21,
6 e sgg., durante la prima domenica del Tempo di Avvento, in cui si
annunciava la fine del mondo e il giudizio finale che attendeva
ciascun uomo.
Il Dies Irae di Mozart
L’ispirazione originale dell’inno nasce da un passo di Sofonia (1,15-16), dove si afferma: «Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies vastitatis et desolationis, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos» [“Giorno dell’ira, quel giorno, giorno di tribolazione e di angoscia, giorno di devastazione e di desolazione, giorno di tenebre e di nebbia, giorno di nuvole e di tempesta, giorno della tromba e di grida di guerra sulle città fortificate e sulle torri d’angolo”].
L’ispirazione originale dell’inno nasce da un passo di Sofonia (1,15-16), dove si afferma: «Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies vastitatis et desolationis, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos» [“Giorno dell’ira, quel giorno, giorno di tribolazione e di angoscia, giorno di devastazione e di desolazione, giorno di tenebre e di nebbia, giorno di nuvole e di tempesta, giorno della tromba e di grida di guerra sulle città fortificate e sulle torri d’angolo”].
Il
nucleo centrale del componimento è la potente descrizione – dagli
accesi toni apocalittici – della fine del mondo e del Giudizio
universale cui seguirà. A giudicare gli uomini, separando i buoni
dai malvagi – gli uni destinati al paradiso, gli altri al supplizio
eterno – provvederà Gesù, qui descritto secondo una tipica
iconografia altomedievale: Christus
iudex,
Cristo giudice, che con potenza e piglio severo, emanerà la sentenza
definitiva. Rispetto quindi alla rappresentazione dei secoli
successivi, dove Cristo appare sofferente in croce (Christus
patiens),
e con tratti largamente umani improntati alla compassione e alla
misericordia, nel Dies
Irae,
invece, si accentuano enormemente i caratteri regali, divini, in cui
l’umanità di Gesù poco traspare, così come la sua misericordia;
è un Dio che incute paura e timore, non soltanto nel peccatore, un
Dio venuto a giudicare, e a separare i
buoni dai cattivi, un Dio venuto alla fine dei tempi a condannare
alla dannazione eterna coloro che non hanno ottemperato ai suoi
precetti.
Da qui il tono di paura e di orrore che pervade l’intero componimento, in cui l’autore – che si esprime in prima persona – si dichiara peccatore pentito, e supplica la divina grazia per essere salvato, nella speranza di essere nel numero ristretto di coloro destinati ab aeterno nella mente di Dio alla salvezza.
Il testo ha avuto una diffusione enorme a partire dal Basso Medioevo e fino all’età umanistica, subendo anche numerosi adattamenti musicali: tra questi il più celebre è senza dubbio il Requiem di Mozart, composto negli ultimi giorni di vita del compositore, e forse per proprio questo ricolmo di lugubri preannunci di morte e di bagliori sinistri. Mentre in epoca moderna non si possono non citare due famosi spunti cinematografici: il film Dies Irae di Carl Theodor Dreyer (1943), in cui la sequenza, oltre ad essere il leit motiv dell’opera, apre e chiude il film; e Il settimo sigillo di Ingmar Bergman (1957), dove è presente una famosissima scena di una lugubre processione di flagellanti che si colpiscono a sangue al canto del Dies Irae.
Da qui il tono di paura e di orrore che pervade l’intero componimento, in cui l’autore – che si esprime in prima persona – si dichiara peccatore pentito, e supplica la divina grazia per essere salvato, nella speranza di essere nel numero ristretto di coloro destinati ab aeterno nella mente di Dio alla salvezza.
Il testo ha avuto una diffusione enorme a partire dal Basso Medioevo e fino all’età umanistica, subendo anche numerosi adattamenti musicali: tra questi il più celebre è senza dubbio il Requiem di Mozart, composto negli ultimi giorni di vita del compositore, e forse per proprio questo ricolmo di lugubri preannunci di morte e di bagliori sinistri. Mentre in epoca moderna non si possono non citare due famosi spunti cinematografici: il film Dies Irae di Carl Theodor Dreyer (1943), in cui la sequenza, oltre ad essere il leit motiv dell’opera, apre e chiude il film; e Il settimo sigillo di Ingmar Bergman (1957), dove è presente una famosissima scena di una lugubre processione di flagellanti che si colpiscono a sangue al canto del Dies Irae.
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