La Cripta del Peccato Originale a Matera


La Cripta del Peccato Originale a Matera è uno degli esempi più belli e meglio conservati dell'arte rupestre in Basilicata, ed è stata definita da Vittorio Sgarbi "la Cappella Sistina della pittura parietale rupestre", per via della scena della creazione di Adamo come nel più celebre affresco michelangiolesco. Il ciclo di affreschi che la caratterizza, sebbene di qualità -a detta di chi scrive- un gradino inferiore a quelli della Chiesa di S. Margherita di Melfi o quelli di S. Antuono a Oppido Lucano, è senza alcun dubbio il più antico della Basilicata, e risale alla fase dei primi insediamenti dei monaci benedettini nella regione, agli inizi del IX secolo. 
La Cripta, in una zona di campagna a quattordici chilometri da Matera (immagine 1), è stata casualmente individuata soltanto nel 1963 da un gruppo di giovani appassionati di Matera, ma non era sconosciuta a tutti: essa era infatti utilizzata da un pastore locale come stalla per il suo gregge di pecore. 
L'accesso alla chiesa era originariamente collocato su una parete, oggi invece murata, ed era costituito da un piccolo muricciolo a secco, aggiunto in tempi recenti per rimediare al crollo della roccia della grotta che aveva privato la chiesa dell'intera parete, lasciandola scoperta dal lato del burrone costituito dal fondo della Gravina di Picciano. La chiusura attuale dell'accesso originario è stata dettata da ragioni di messa in sicurezza dell'edificio, mentre un piccolo accesso -da cui oggi si entra- è stato aperto sulla parete a destra dell'accesso originario (immagine 2). Il crollo della parete della roccia ha presumibilmente provocato la perdita di una parte del complesso, quasi certamente di una serie di affreschi che ricopriva l'intera parete, oltre a un'abside affrescata sulla parete centrale a sinistra della parete crollata. 

Allo stato attuale, delle quattro pareti che costituiscono la grotta, sono solo due quelle sopravvissute dell'impianto originario che conservano un ciclo di pitture, ma molto più numerosi dovevano essere i dipinti, se nella memoria collettiva la chiesa era conosciuta come "Chiesa dei cento santi". Nella parete di fronte all'accesso attuale sono collocate tre nicchie absidali (immagine 3), da sinistra a destra dedicate ad ospitare S. Pietro circondato dai santi Andrea e Giovanni; una Madonna in trono con Bambino affiancata da due figure di sante oranti; e l'Arcangelo Michele con Gabriele e Raffaele; sulla parete a destra dell'attuale accesso c'è invece il ciclo pittorico che ha dato nome alla cripta, ossia scene della Genesi, dalla Creazione di Adamo ed Eva al Peccato originale, insieme a un piccolo affresco, chiaramente successivo, sulla parete in basso a sinistra, che rappresenta una scena di abluzione con un monaco e un vescovo (immagine 4). Tracce di una ulteriore decorazione sopravvivono nella fascia superiore alle nicchie absidali, ma le pareti sono state scrostate dal passaggio di acqua sotterranea: si intravedono un Gesù a mezzobusto, forse nella scena dell'Ascensione, circondato dagli arcangeli Michele e Gabriele; resti dei quattro tetramorfi con l'Agnus Dei e sulla parte immediatamente a ridosso della parete crollata, uno scudo di fattezza longobarda all'interno di una scena con (forse) storie di Pietro e Paolo.
S. Pietro (immagine 5) è rappresentato in abiti eleganti color blu e porpora, con la mano destra benedicente e la sinistra che impugna le chiavi del regno dei cieli (Matteo 16, 18-19). Degli arcangeli (immagine 6) colpiscono soprattutto gli occhi sbarrati, tipici dell'iconografia altomedievale caratterizzante coloro che hanno una diretta visio Dei, e la rappresentazione non tradizionale di Michele, che qui abbandona la sua iconografia di guerriero e capo delle schiere angeliche contro il demonio (e come tale rappresentato con una spada e una lunga lancia in mano mentre trafigge il demonio steso ai suoi piedi), per una rappresentazione benedicente e nella sua funzione di comando. Tanto Michele quanto Pietro hanno nella rappresentazione la singolarità di avere sei dita alla mano destra ("esadattilia"), come allusione simbolica alla loro funzione di collegamento con la suprema Divinità. Della figura della Vergine (immagine 7) risaltano l'eleganza e la sontuosità dell'abito in lapislazzuli e dei ricchi drappeggi (come gli strani orli zigzaganti della veste), insieme alla preziosa corona sul capo; mentre nell'espressione del volto siamo lontani dall'algida fissità e ieraticità bizantina e la sua figura mostra decisamente tratti più dolci e più "latini". Le figure delle due sante oranti (forse Lucia e Agata, ovvero una Lucentia, santa autoctona della Lucania) si caratterizzano invece per una marcata stereotipia che a fatica permette di distinguere l'una dall'altra.
Il ciclo della Genesi (immagine 8) si muove da sinistra a destra: prima la Creazione della Luce e delle Tenebre da parte di Dio (immagine 9), singolarmente rappresentato -secondo una tradizione altomedievale prebizantina- come un giovane imberbe; sia la Luce che le Tenebre sono personificate: la Luce come un giovane esultante con le braccia tese verso l'alto in atteggiamento benedicente; le Tenebre come un giovane con le mani legate da corde. L'albero della Vita (nell'affresco un albero di datteri) separa la prima scena dalla seconda, che vede la Creazione di Adamo ed Eva (immagine 10), con quest'ultima che letteralmente fuoriesce dal costato dell'uomo, rappresentato -non tradizionalmente- come sveglio e non dormiente; fino alla Tentazione del serpente, avvolto a spirale intorno a un albero di fico -rappresentato come spoglio e secco-, davanti ad Eva che poco dopo porge ad Adamo il frutto proibito; l'ultima scena rappresenta Adamo ed Eva che si scoprono nudi e coprono le loro vergogne con foglie di fico. Delle citazioni bibliche e delle scritte coprono la fascia superiore dell'affresco della Genesi e illustrano gli episodi rappresentati; mentre la fascia inferiore che corre lungo tutte e due le pareti, inglobando tanto le nicchie absidali quanto il ciclo del Peccato originale, è costituita da una bellissima serie di fiori purpurei sui loro steli lussureggianti, e ha fatto sì che l'anonimo autore benedettino di questi dipinti sia stato battezzato come "Maestro dei fiori di Matera".
Certamente la Cripta del Peccato Originale a Matera merita senz'altro di essere inserita fra il patrimonio più alto del Medioevo in Basilicata (Informazioni per la visita qui).

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